giovedì 14 gennaio 2010

Augusto Minzulpop/6

E cinque: Minzolini ha finalmente raggiunto il pokerissimo e oggi ci ha regalato la sua quinta perla di saggezza. L’editoriale odierno si è concentrato su un tema particolarmente caldo, Tangentopoli. Il direttore del tg1 si è sentito in dovere di dirci la sua opinione su Bettino Craxi. Ne riportiamo le testuali parole.


«Della sua figura si discute molto: c’è chi vorrebbe dedicargli una strada e chi si oppone, chi lo considera un grand’uomo e chi un mezzo delinquente. È arrivato il momento di guardare la sua vicenda con gli occhi della storia: Craxi è stato trasformato nel capro espiatorio di un sistema che era stato l’ultimo residuo della guerra fredda. Una democrazia costosa permise al Paese di restare per cinquant’anni nel mondo libero: da un lato i partiti che governarono la prima repubblica con i loro pregi e difetti, dall’altro il più grande partito comunista occidentale, con i suoi rapporti con l’Urss. Con la caduta del muro di Berlino, per il solito paradosso italiano, i vincitori, quelli che erano sempre stati dalla parte giusta, invece di ricevere una medaglia furono messi alla sbarra. Basti pensare che il reato portante di Tangentopoli, cioè il finanziamento illecito ai partiti, era stato oggetto di un’amnistia appena due anni prima: un colpo di spugna che preservò alcuni e dannò altri. La verità è che ad un problema politico fu data una soluzione giudiziaria. E l’unico che ebbe il coraggio di porre in questi termini la questione, cioè Craxi, fu spedito alla ghigliottina. Per questo Craxi non volle mai vestire i panni dell’imputato. È di quegli anni il vulnus che alterò l’equilibrio nel rapporto fra politica e magistratura. Un vulnus che per quasi un ventennio ha fatto cadere governi per inchieste che spesso non hanno portato da nessuna parte e che ha lanciato nell’agone politico i magistrati che ne erano stati protagonisti, e già per questo avrebbero dovuto dimostrare di non essere di parte. Ecco perché non ha bisogno di nessuna riabilitazione l’uomo, che accettando coraggiosamente da socialista e riformista gli euromissili, contribuì, insieme a Reagan e a papa Woityla, a mettere in crisi l’Urss, che disse di no agli americani nella crisi di Sigonella e affrontò i referendum sulla scala mobile. Il destino di Craxi, la sua carriera fatta di luci e di ombre, è comune a molti dei grandi personaggi di quel periodo complesso. Addirittura Helmut Kohl riunì le due Germanie e poi finì sotto processo. Ma per la storia Craxi va già ricordato oggi come uno statista».

Ci sarebbe da ridere, se non si trattasse di un editoriale del direttore del primo tg nazionale. Noi ci limitiamo a correggere Minzolini in un solo punto. Non è che alcuni ritengono Craxi «un mezzo delinquente»: l’aspirante santo era infatti un delinquente, come testimoniano le condanne definitive di 5 anni e 6 mesi per corruzione nel processo Eni-Sai e a 4 anni e 6 mesi per finanziamento illecito per le mazzette della metropolitana milanese. Il Cinghialone fu anche condannato in appello a 3 anni per la maxitangente Enimont, a 5 anni e 5 mesi per le tangenti Enel, a 5 anni e 9 mesi per il conto Protezione e in primo grado a 4 anni per All Iberian (in appello ottenne la prescrizione), processi poi estinti per la sua morte, come quelli che sarebbero cominciati in seguito ad altri rinvii a giudizio che il leader del Garofano subì. Craxi non fu «spedito alla ghigliottina», tant’è vero che non morì sul patibolo ma nella sua villa ad Hammamet, dove si rifugiò da latitante il 5 maggio del 1994. Questa è la Storia.

pubblicato da AB su Bile il 14 gennaio 2010

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