È tornato il Minzo. Dopo l’editoriale del 9 novembre scorso sull’immunità parlamentare, il direttore del tg1 ci ha edotto sul tema della mafia (cioè, come sempre nei suoi editoriali, su Berlusconi). Partiamo da ciò che ha detto per poi commentare.
«Una settimana fa un presunto pentito della mafia, pluriomicida e stragista, Gaspare Spatuzza, autore di delitti efferati come l’uccisione di un sacerdote e il rapimento di un bambino poi sciolto nell’acido, in un tribunale di questo Paese, davanti alle telecamere di tutto il mondo, ha raccontato che i suoi capi gli avevano confidato di essere in rapporti con il premier Berlusconi e con il senatore Dell’Utri. Una deposizione trasmessa in mondovisione e senza riscontri. Una settimana dopo uno dei capi di Spatuzza, Filippo Graviano, lo ha smentito in un’altra aula di tribunale, dichiarando che ha raccontato solo balle o, per usare un vocabolo ormai di moda, "minchiate". Per 7 giorni però quelle balle sono andate in giro e hanno danneggiato l’immagine del presidente del consiglio e di conseguenza l’immagine dell’Italia. Si poteva evitare? Forse sì. Se si fosse seguita alla lettera l’attuale legge sui pentiti, quella deposizione di Spatuzza non sarebbe stata neppure ammessa in un processo. Ancora una volta invece il fascino mediatico dei teoremi ha avuto la meglio sui dati di fatto e a chi sparava fino all’altro ieri con la lupara, è stato permesso di sparare deposizioni. È già capitato in passato: Andreotti si è portato appresso per tanti anni la leggenda del bacio con Riina. E anche in quell’occasione fu danneggiato non solo l’interessato ma anche il Paese. All’attuale senatore a vita ci vollero più di 10 anni per liberarsi dal dubbio che i pentiti gli avevano appiccicato addosso. Il caso Spatuzza è l’ultima prova, ma l’elenco è infinito. Nel nostro sistema giudiziario c’è qualcosa di sbagliato: questo è un dato di fatto. Lo si può dire in tanti modi, ma la cosa importante è che le polemiche di questi giorni sulle forme non facciano dimenticare la sostanza di questi problemi che impediscono al Paese di modernizzarsi e di guardare avanti, a partire dalla riforma della giustizia».
Varie le corbellerie sparate dal successore di Riotta. Andando con ordine, non si può proprio capire per quale motivo – dopo che per una settimana ci siamo sentiti dire che un mafioso sanguinario non può dire la verità – ci dovremmo fidare di Filippo Graviano. L’abilità del Minzo è tutta nell’uso delle parole: di Spatuzza ci ha riferito i suoi crimini più orrendi, di Graviano no. Infatti è solo «uno dei capi di Spatuzza». Sarebbe stato troppo brutto dire agli italiani che, se l’accusatore di Dell’Utri è quello che ha fatto fuori tra gli altri don Puglisi e il piccolo Giuseppe Di Matteo, colui che lo smentisce è quello che ha pianificato le stragi di Capaci, di via D’Amelio, di via Georgofili, di via Palestro, di Piazza San Giovanni in Laterano e di via San Teodoro. Ancora più riprovevole sarebbe stato il ricordare che, se Spatuzza almeno formalmente si dichiara pentito per ciò che ha fatto, Filippo Graviano non si è mai ravveduto. Sulla sua credibilità infine, non possiamo fare altro che riportare quanto si legge sul sito del Fatto quotidiano: Filippo Graviano «ha negato di conoscere persino una delle due persone con cui vene arrestato nel 1994». È dunque un personaggio inattendibile, almeno quanto Gaspare Spatuzza.
Altra balla di Minzulpop: le dichiarazioni di Spatuzza sono state rilasciate «senza riscontri». Una menzogna assurda: i rapporti tra Dell’Utri e i fratelli Graviano sono già stati messi nero su bianco dai giudici che hanno condannato in primo grado Dell’Utri a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Lo si legge nell’incipit del capitolo 15 della sentenza, intitolato non a caso «I fratelli Graviano di Brancaccio»: «Nell’ambito degli accertati rapporti e contatti, diretti o mediati da terze persone, tra Marcello Dell’Utri ed esponenti di primo piano di alcune potenti “famiglie” mafiose palermitane, un posto particolare meritano i fratelli Graviano Giuseppe e Graviano Filippo, responsabili della consorteria mafiosa operante in Brancaccio, quartiere alla periferia di Palermo».
Non si venga però a dire che Minzolini è un megafono di Berlusconi: oggi ha difeso anche Andreotti. Solo sulla storia del bacio tra Riina e il 7 volte presiedente del Consiglio però. Minzolini ha ricordato il racconto del pentito Baldassarre Di Maggio, mai accertato e infatti rifiutato dalle sentenze del processo a carico del divo Giulio, ma si è dimenticato di dire come sia effettivamente finito quel processo, basato anche sulle testimonianze dei tanto vituperati collaboratori di giustizia. Per rinfrescare la memoria, Giulio Andreotti è stato assolto dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa solo per il periodo successivo alla primavera del 1980. Per il lasso di tempo precedente, il reato è stato dichiarato «estinto per prescrizione». A scanso di equivoci i giudici hanno anche scritto che, però, è stato «commesso». Infatti «il reato di partecipazione all’associazione per delinquere» nel periodo finito sotto la mannaia della prescrizione era «concretamente ravvisabile».
Chiudiamo con un’analisi lessicale: il Minzo ha definito la deposizione di Spatuzza un insieme di «balle». Poi però si è corretto, preferendo il «vocabolo ormai di moda», ovvero «minchiate». Sapete chi la fa la moda? Libero e Il giornale, guarda caso i 2 houseorgans berlusconiani: entrambi hanno utilizzato lo stesso termine nei titoli di prima pagina di sabato scorso, il giorno successivo alle dichiarazioni di Spatuzza. Questo per evidenziare l’indipendenza di questo professionista dell’informazione italiota, direttore del primo telegiornale nazionale. Come disse il suo vero datore di lavoro, «Povera Italia con un sistema informativo come questo».
via Bile
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sabato 12 dicembre 2009
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