«Mi sembra di vedere dei pentiti telecomandati per colpire un governo che sta dando veramente fastidio alla mafia». A ripetere la litania imposta da Berlusconi ai suoi fedelissimi è stato oggi Roberto Castelli. Non contento di essersi fatto ridere dietro con la proposta di ieri della croce nella bandiera italiana, il viceministro ci ha riservato l’ennesima perla di saggezza: Berlusconi non ha nulla a che fare con la mafia ed è al centro di un complotto ordito dai pm che guidano i pentiti, nonostante l’attuale governo stia annientando la mafia. Balle.
Sul Berlusconi mafioso invitiamo Castelli ha rileggersi le seguenti dichiarazioni del suo leader Umberto Bossi: «Quel brutto mafioso che guadagna i soldi con l’eroina e la cocaina» (Corriere della Sera, 15 Settembre 1995); «Berlusconi è un mafioso, lo dichiaro ufficialmente… Berlus-Cosa nostra» (La Repubblica, 16 Giugno 1998); «La Padania, con quel titolo che diceva "Berlusconi, sei un mafioso? Rispondi!" è andata fin troppo leggera. Doveva andare più a fondo con quelle carogne legate a Craxi» (Ansa, 21 Agosto 1998); «Berlusconi è un palermitano che parla meneghino. Bisognerebbe sapere le radici, la sua storia. Gelli fece il progetto Italia e c’era il buon Berlusconi nella P2. Poi nacquero le holding italiane di Berlusconi, di cui parte sembrano addirittura occulte. Come potrà mai la magistratura fare il suo dovere e andare a vedere da dove vengono quei quattrini, ricordando che la mafia quei quattrini li fa con la droga e che di droga al Nord son morti decine di migliaia di ragazzi che ora gridano da sottoterra. Berlusconi è molto peggio di Pinochet» (TelePadania, 11 Novembre 1998); «Peccato che lui sia un mafioso. Il problema è che al Nord la gente è ancora divisa tra chi sa che Berlusconi è un mafioso e chi non lo sa ancora… Il Nord lo caccerà via. Di Berlusconi non ce ne fotte niente. È un palermitano nato nella terra sbagliata. È un palermitano che parla meneghino, è il meno adatto a parlare di riforme. L’unica riforma che veramente sta a cuore a Berlusconi è che non vengano toccate le sue televisioni. Invece io dico che bisogna portargliele via, perché le sue televisioni sono contro la Costituzione. La prima riforma da attuare è quella di mettere in circolazione l’informazione. Berlusconi è tutto tranne che democratico… Ci risponda: da dove vengono i suoi soldi? Ce lo spieghi, il Cavaliere. Dalle finanziarie della mafia?» (La Padania, 11 Novembre 1998).
Già che ci siamo, rinfreschiamo la memoria di Castelli su cosa pensava sull’attuale premier anche il suo amico Roberto Calderoli: «L’arresto di Marcello Dell’Utri conferma i pesanti coinvolgimenti giudiziari del vertice Fininvest, degli uomini più vicini a Silvio Berlusconi. Non sono diffamatorie le accuse che la Lega ha rivolto pubblicamente a personaggi che con il loro operato si sono posti fuori dalla politica, fuori dalla morale e fuori dalla legge. L’arresto di Dell’Utri a Torino dimostra l’infondatezza della presunta persecuzione che subirebbe Silvio Berlusconi per colpa di certi giudici che agirebbero senza prove. Mani pulite non è finita, anzi per la Fininvest e per Berlusconi è appena iniziata» (Ansa, 26 Maggio 1995); «Inquietanti ombre si stagliano sulla politica italiana e su cosiddetto rinnovamento. C’è chi si candida alla guida del Paese nonostante sia imputato di reati gravi. C’è chi ha fondato un partito giudicato appetibile ed utile, per quanto riferito nei processi di mafia in corso, agli interessi dei vertici del crimine organizzato di stampo mafioso. Sono segnali gravi che vanno a coincidere con la richiesta presentata al processo a Milano, richiesta paradossale quanto incredibile. Le alternative in questi casi sarebbero: addirittura accelerare il corso del processo prima che il popolo possa esprimere il voto perché abbia cognizione di chi si propone alla guida nel Paese non solo sotto l’aspetto politico, ammesso che ce ne sia uno, ma sotto l’aspetto giuridico; oppure anche solo una fantasia: rinviare le elezioni e non il processo per accertare prima e non dopo se ci si trovi di fronte a uno statista o a un tangentista» (Ansa, 20 Febbraio 1996).
Se non bastasse, richiamiamo anche la dichiarazione di Roberto Maroni del 13 aprile 1999: «La richiesta d’arresto per Marcello Dell’Utri è legittima, fondata e non persecutoria: l’ho valutata con attenzione e anche con sofferenza, ora si può decidere in piena coscienza. Sullo sfondo si intravvede lo specchio di Cosa Nostra, lo spettro della mafia».
Passando alla seconda parte della farneticazione di Castelli, il complotto delle toghe che vogliono accusare Berlusconi di essere mafioso, non possiamo fare altro che ribadire che i sospetti dei pm (per ora solo ipotetici, vista l’assenza di un’indagine sul premier) sono quantomeno comprensibili. Il Cavaliere infatti non ha mai fatto niente per smentire i fatti che gli potrebbero essere contestati: si è messo in casa un mafioso e ha continuato a sentirlo nonstante le bombe che gli ha piazzato davanti casa e i sequestri che gli organizzava durante le cene in villa; non ha mai chiarito da dove gli siano arrivati i soldi che gli hanno permesso di intraprendere la sua carriera edilizia e televisiva; ha sempre pagato il pizzo senza mai denunciare le estorsioni; non ha ancora spiegato come mai Provenzano nel 1994 (lo chiama «onorevole») gli abbia spedito una lettera con la quale gli chiedeva una delle sue tv per evitargli un «triste evento».
Infine, sul governo che batterà la mafia, riconoscendo gli arresti eccellenti portati avanti da questo esecutivo, non possiamo sorvolare su alcune leggi approvate e su altre ancora in cantiere che favoriranno evidentemente la mafia. Ci riferiamo allo scudo fiscale che rimpinguerà le casse di Cosa Nostra e compagnia bella, alla legge che eliminerà le intercettazioni e all’obbligo di organizzare aste pubbliche per la vendita dei beni confiscati alla mafia che così, tramite prestanomi, se li riprenderà (lo ha sostenuto perfino Piero Grasso, non proprio una toga rossa).
Se Castelli riuscisse a confutare con dei fatti queste affermazioni, gliene saremmo grati. Ci libererebbe dall’angoscioso dubbio di essere governati da un mafioso.
via Bile
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