lunedì 21 dicembre 2009

Si scrive “inciucio”, si legge “cedimento”


Guai a parlare di inciucio: si dice “compromesso“. No a “leggine in favore di Berlusconi”, ma “se per evitare il suo processo devono liberare centinaia di imputati di gravi reati, è quasi meglio che facciano una leggina ad personam per limitare il danno all’ordinamento e alla sicurezza dei cittadini”. Il tutto proprio “come ha detto Bersani”, nonostante il segretario del PD vada ripetendo da settimane il suo no a qualsiasi legge ad personam. Nessun problema: per Massimo D’Alema “l’unica discriminante è tra essere uomini politici e non esserlo“.
Ora, si potrebbe contestare la decisione di collaborare con un governo dalla tentazione autoritaria, come il Berlusconi IV, per riforme su materie fondamentali per il mantenimento degli equilibri di potere quali la giustizia, la Costituzione, la legge elettorale. O ancora, si potrebbero criticare le reazioni indignate degli ex segretari Veltroni e Franceschini. Che oggi sostengono che l’unico inciucio buono sia un inciucio morto, cercando di vestire i panni degli antiberlusconiani “senza se e senza ma” di lunga data; con risultati (il loro passato ne è testimonianza) risibili.
Io vorrei invece spostare l’accento su un altro aspetto: perché? Cosa motiva la provocazione di D’Alema? L’ex presidente del consiglio è un politico troppo navigato per immaginare che alle sue dichiarazioni non avrebbe fatto seguito un vespaio di polemiche.  Non si può che pensare che abbia deciso di sollevarle, e alimentarle. A quale scopo?
Ufficialmente, ribadire l’estraneità del Partito Democratico dal progetto e dai toni dell’Italia dei Valori (Di Pietro viene definito un “populista” speculare a Berlusconi) e comunicare il messaggio che il PD sia un partito moderno, riformista e al cui arco c’è la freccia (spuntata) del dialogo: niente a che vedere con chi invece dei congiuntivi usa gli insulti. E avvicinarsi all’UDC, che prontamente ringrazia: “Ha ragione D’Alema. La politica è sede di qualche compromesso. A volte il meglio è nemico del bene” (Casini). E torna a parlare di concedere al Premier il legittimo impedimento (“l’indecenza meno indecente”, nel vocabolario dalemiano).
In realtà sembra trattarsi di un tentativo di mettere alla prova i rapporti di forza all’interno del partito. Fare la conta, prendere le misure. Perché andare apertamente contro la linea del segretario se non per ribadire, a pieni polmoni, “qui comando io“? Mostrare che la volontà d’inciuciare è ben radicata nel partito, come dimostrano le dichiarazioni di Marini (che si dice favorevole a un lodo Alfano in veste costituzionale), Latorre e del “simpatizzante” Scalfaro (“Non sono per nulla contrario all’ipotesi di un provvedimento che dia una tutela al premier a condizione che non ci sia danno a terzi”). E che Bersani, se non vuole che tutto questo “apparato” si metta di traverso, deve stare zitto e sedere al tavolo della contrattazione. Piaccia o meno.
Chissà se D’Alema ha capito, dall’alto della sua levatura politica, che a furia di alzare la voce l’unico messaggio chiaramente percepito dall’elettorato è che all’interno del PD non si sappia affatto chi comanda. Non serve nemmeno tirare in ballo le proposte: manca, e manca del tutto, un profilo di leadership. Quella, caro D’Alema, non si conquista solo con le prime pagine, né con gli apparati.
E mentre c’è chi strappa la tessera del partito, tornano all’orecchio le parole pronunciate poco più di un anno fa da Enrico Letta:
Se tutto il partito dovesse dividersi tra dalemiani e veltroniani, questo rischierebbe di far passare il Pd per la mera continuazione dei Ds, e l’intero progetto fallirebbe.
Forse è questo il motivo per cui si scrive “inciucio” ma si legge, lo diceva Furio Colombo sul Fatto di ieri, “cedimento“.

via Il Nichilista

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