...Mia nonna è morta dopo che le ho spiegato che all’Aquila lei non ci sarebbe più tornata e dopo che le ho fatto vedere le foto del suo balcone posato ancora sopra quel che resta della mia auto...
Se ne parla sempre meno, e sempre più persone restano convinte che l’emergenza aquilana sia finita. Per molti, per troppi, il terremoto è l’Aquila, con le sue case immerse nel verde, i parchi gioco, i campetti di calcio, le tende degli appartamenti tutte uguali che fanno eleganza. A chi è convinto che tutto sia a posto, puoi anche mostrare le foto di quelle brutture architettoniche, che in mezzo al nulla di una campagna incolta, sembrano sguazzare nel fango. Ti dirà al massimo: “Almeno hanno tutti una casa.” Potrai provare a spiegare che in troppi vivono in un albergo, che troppi sono stati deportati a centinaia di chilometri dalla loro vita, o dentro una caserma, o nei container approntati in ritardo e dei quali non si è mai parlato; non servirà a nulla lo sforzo contro il convincimento ottenuto con la propaganda.
E il modello di propaganda dell’Aquila è servito anche in altre nefaste occasioni italiche, prime fra tutte l’esplosione del treno a Viareggio alla fine di Giugno. Si avevano ancora in mente le immagini del fuoco, i racconti della gente con i piedi ustionati per essere fuggita in ciabatte sull’asfalto liquefatto, quando si sentì la facile promessa: “faremo come all’Aquila.” Poi le cose vennero a galla, si seppe per esempio che il treno merci che non avrebbe dovuto viaggiare, trasportava il gas per l’Aversana Petroli, di proprietà del sottosegretario Nicola O’americano (quel cosentino sospettato di camorra), ma vennero frettolosamente ricoperte dalla valanga di scandali, proclami razzisti, minchiate di brunetta, inutili per il paese ma utilissime per il governo. Il tizio si guardò bene dal tornare a Viareggio, e soprattutto si guardò bene dal lasciar tornare alla memoria del suo popolo il disastroso accadimento. Tuttavia è sempre pronto a presentarsi nei pressi dell’Aquila, anche quando un privato cittadino si accinge a fare la gettata di cemento, a sue spese, sul tetto di casa sua.
Poi vennero i morti di Messina, e si recitò ormai a memoria lo stesso copione: faremo come all’Aquila.
Oggi dalla finanziaria riscritta col peggiore dei metodi fascisti, sono spariti gli stanziamenti per la ricostruzione a Viareggio. Pare che per il governo il problema sia locale. E c’è di più: secondo i giuristi, se si dovesse approvare la nuova regola salva premier del processo breve, nessuno mai pagherà per la strage viareggina.
E Messina? No, nemmeno la città siciliana si avvicina al modello Aquilano, niente fondi stanziati e un migliaio di persone senza casa. Molte promesse ed anche questa volta emendamenti cancellati. Niente soldi e qualche dubbio su quelli stanziati nell’immediatezza dell’evento. Dubbi che bertolaso provò a fugare quando qualche tempo fa disse (pressappoco) che in fondo, anche la mafia aveva a cuore le sorti del proprio territorio e che quindi …
Tuttavia, nell’animo dell’italiota medio, questi due accadimenti appaiono del tutto slegati dal fantasmagorico miracolo abruzzese: interrogato, nel primo caso vi dirà: “I morti di Viareggio? Quella dove è esploso un treno?". Nel secondo andrà anche peggio: “A Messina sono morti per colpa loro, mica era un terremoto!”
via R-ESISTENZA
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martedì 8 dicembre 2009
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