giovedì 22 ottobre 2009

I dati sulla crisi, al di là della propaganda di regime

Le chiacchiere del Palazzo smentite da una situazione drammatica.
Sono oltre tre milioni e mezzo i lavoratori ‘precari’ in Italia e tra loro la maggioranza (il 58,7 per cento) è composta da donne. Le regioni del Sud come al solito sono quelle che subiscono di più il fenomeno concentrato prevalentemente nei servizi pubblici, negli alberghi, nei ristoranti e nell’agricoltura.
Lo ha "scoperto" un’indagine dell’Associazione Artigiani e Piccole Imprese Mestre. La ricerca ha evidenziato che chi non ha nessun titolo di studio patisce di più la situazione.
I contratti a tempo determinato o di collaborazione raggiungono il 15 per cento dell’intero mercato del lavoro.  Le figure professionali più numerose sono i lavoratori a termine, i dipendenti part time, i collaboratori che presentano contemporaneamente tre diverse attività e i liberi professionisti e lavoratori in proprio - le cosiddette Partite Iva - che presentano anche loro almeno tre differenti contrattualizzazioni.
La stragrande maggioranza di queste persone non ha scelto contratti a tempo determinato o di collaborazione, ma non ha avuto altra scelta.
Con il 23,3 per cento la Calabria presenta il maggior numero di precari in rapporto al totale degli occupati. Poi arrivano la Sicilia con il 22,1 per cento, la Sardegna con il 21,3, la Puglia con il 19,5 e la Basilicata con il 17,2.
In fondo alla classifica la Lombardia che, nonostante registri in termini assoluti il numero più elevato, presenta la percentuale più bassa sul totale degli occupati, ovvero il 12 per cento.
In particolare i contratti ‘che domani non si sa’ sono concentrati per il 28,1 per cento nei servizi pubblici e sociali, per il 25,9 in alberghi e i ristoranti e per il 24,6 in agricoltura. In fondo alla classifica il settore dell’intermediazione monetaria con l’8,9 per cento.
Il titolo di studio, invece, è così distribuito: senza titolo di studio il 20 per cento, laureati il 15,3, con licenza media il 15, con diploma di scuola superiore il 15, con licenza elementare il 14,9. Alta anche la percentuale di chi non solo è laureato, ma che si è anche specializzato, il 14,3 per cento.
A descrivere la situazione in tutta la sua gravità gli ultimi dati Istat del secondo trimestre di quest`anno, in base ai quali “il forte calo dei dipendenti a termine raggiunge i 229mila posti e i co.co.co i 65mila”.
Per Claudio Treves, coordinatore delle politiche del lavoro della Cgil è possibile cadere nel “tranello” dell`effetto statistico, che vede crescere il peso del lavoro fisso rispetto a quello instabile, mentre “in realtà ciò è dovuto solo agli effetti della crisi che si abbattono in maniera più forte proprio sui lavoratori giovani e precari”.
Insomma, mentre impazzano i ragionamenti della politica il fenomeno si mostra in tutta la sua gravità e non c’è nessun indicatore che permette di supporne non solo il contenimento, me nemmeno la crescita.
Ma distogliere l’attenzione dalla realtà ormai è lo sport preferito nel Palazzo.

via Inviato Speciale

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