giovedì 29 ottobre 2009

L'Università privata di tutto: resta il business


La fine di un'epoca. Con la riforma dell'Università approvata ieri dal Consiglio dei ministri, sostanzialmente si chiude il capitolo ‘Università pubblica’ in Italia. Il nostro paese non è più in grado di sostenere il sistema e garantirne l'eccellenza. Perciò apre ai privati, che presiederanno i Consigli d'amministrazione e, inevitabilmente, influiranno sull'autonomia degli atenei.



Deriva aziendalistica
Il progetto del ministro Gelmini prevede che il 40% dei membri dei Cda provengano dall'esterno (compreso, al bisogno, il presidente) e l'introduzione di un manager al posto del direttore amministrativo. Su questo aspetto si è mostrato contrario anche il capogruppo dei senatori del Pdl Gasparri: “Personalmente - ha detto - ritengo sbagliato far eleggere il presidente del Cda dai componenti piuttosto che dal rettore. L'Università ha una sua specificità che va mantenuta”. I Consigli di amministrazione assorbiranno gran parte dei poteri del senato accademico e saranno composti dal rettore, da uno studente e da, massimo, altri nove componenti. Dunque sarà diminuita la rappresentanza e il pluralismo di opinioni, proprio nel momento in cui arrivano i privati. Del resto già l'anno scorso era stata inserita, nella legge per lo sviluppo economico, la trasformazione degli atenei in fondazioni. “Siamo molto preoccupati da questa deriva aziendalistica - spiega Claudio Riccio del Link studenti universitari - con l’alibi della situazione economica sono previsti ovunque aumenti delle tasse. Tasse alte ed esterni negli organismi decisionali sono le principali caratteristiche degli atenei privati. Ciò vuol dire che entro nove mesi dall'approvazione (tempo previsto dalla riforma per essere recepita, ndr) tutte le università statali diventeranno di fatto private”.

Conferma dei tagli
Ma questo è solo uno dei temi affrontati nel disegno di legge. Di sicuro quello più caro a Tremonti, che vuole alleggerire il finanziamento pubblico agli atenei. In 5 anni, infatti, saranno tagliati dal Fondo di finanziamento ordinario più di 1000 milioni, pari al 15% del totale. E, nonostante i proclami che anche ieri il titolare di via XX Settembre ha ribadito in conferenza stampa sul recupero dei soldi con lo scudo fiscale, il taglio non è mai stato rettificato. “La proposta del ministro Gelmini - ha dichiarato la Conferenza dei Rettori - rappresenta un’occasione fondamentale. Ma ora è indispensabile, e per più aspetti pregiudiziale, che all'avvio del processo riformatore e a garanzia della sua credibilità, corrisponda una disponibilità adeguata di risorse. A partire da quanto sarà garantito al finanziamento degli atenei per il 2010. Se il taglio fosse confermato provocherebbe il crollo di buona parte del sistema universitario".

Regole superficiali
Le università saranno rese più autonome nella gestione dei fondi, e verranno valutate dall'Anvur (Agenzia nazionale della valutazione dell'Università e della Ricerca introdotta nella precedente legislatura). I meritevoli avranno più soldi, gli altri li perderanno. Un metodo esistente anche all'estero, che però ha bisogno di essere regolato. “Oggi - racconta Michele Cascella, professore emigrato in Svizzera - si valutano le università nel loro complesso e questo è sbagliato. Perché se un ateneo ha un dipartimento eccellente e cinque scadenti, anche chi ha lavorato virtuosamente verrà spazzato via. Servono regole più precise e non così superficiali”.

Sorteggi infiniti
La riforma prevede anche l'introduzione dell’abilitazione nazionale per l’accesso di associati e ordinari. “L’abilitazione - ha spiegato il Ministro - è attribuita da una commissione nazionale, anche con membri stranieri, che saranno sorteggiati”. Già, il sorteggio: un metodo che, come il Fatto Quotidiano ha raccontato con il bando “Futuro in ricerca”, non funziona (in 6 mesi il Ministero dell’università e della ricerca non è riuscito a scegliere 20 nomi in una rosa di 60). Adesso la Gelmini vuole riproporlo e istituzionalizzarlo per una commissione che avrà potere sul futuro degli studenti. Il Ministro, in conferenza stampa, non risponde alle domande. Resta aperta la questione: non esiste altro metodo?

Precari senza borsa
Arriveranno all'abilitazione i ricercatori che saranno stati contrattualizzati a tempo determinato per 6 anni (3+3). Quindi non c'è più la terza fascia docente e non è chiaro chi li sceglierà e con quale metodo. Al termine dei 6 anni il ricercatore, se abilitato, sarà confermato a tempo indeterminato come associato. Soldi permettendo. Che per il momento le università non hanno. “Noi studenti non siamo contrari ai metodi di valutazione - spiega Lorenzo Zamponi, dottorando di Padova - ne vorremmo anche di più selettivi. Ma purtroppo non si possono valutare gli studenti sulla base di una ricerca che non possono fare perché non ci sono soldi. In più questa riforma prevede che in quei 6 anni i ricercatori si dedichino alla didattica, cioè insegnino abusivamente”. Tra le novità, inoltre, quella che preoccupa di più gli studenti è l’abolizione delle borse post-dottorali. “Ammetto che non è dignitoso trovarsi a più di 30 anni dopo aver studiato per almeno 10, con una borsa di studio - dice Francesca , ricercatrice romana - e che sarebbe auspicabile che queste fossero davvero sostituite da contratti seri. Ma il mio dubbio è: tutte le persone che sopravvivevano con la borsa di studio che faranno? Avranno un contratto o andranno a casa”?

Diritto per delega
È prevista inoltre la delega al governo per cambiare la legge sul diritto allo studio. Ciò significa che la riforma non sarà discussa in Parlamento. L'obiettivo è quello di versare altre borse ai più meritevoli. Ma ogni anno molti ‘idonei’, cioè bisognosi di contributo per studiare, non ricevono i soldi per mancanza di fondi. Sarà difficile coprire quella spesa e averne altri per i più bravi. E poi: aumento del ‘prestito d'onore’, fondato anche questo sull'intervento dei privati (è un metodo usato all'estero dagli studenti che chiedono soldi alle banche per studiare e li restituiscono con gli stipendi). Ma l'Italia non è l'America, i ricercatori restano precari a lungo e senza regole rischiano di trasformarsi in un esercito di indebitati cronici.

Le reazioni
Ieri gli studenti hanno manifestato in tutt'Italia contro la riforma. A Roma gli universitari di Link hanno occupato per qualche minuto alcuni uffici del ministero. Sit-in di protesta davanti alle prefetture fino a notte fonda a Torino, Genova, Napoli, Lecce, Siena, Taranto e Bari. Per la Cgil la riforma “è un’operazione scopertamente autoritaria, una netta invasione di campo nei confronti dell’autonomia universitaria”. Per la Cisl “manca una concreta soluzione alla situazione dei ricercatori ai quali si continua a negare lo status della docenza introducendo ambiti di precarietà che ne indeboliscono ulteriormente il ruolo”. Secondo il Partito democratico “la Gel-mini tradisce completamente i propri impegni e non fornisce risorse aggiuntive. Aveva detto che le riforme sarebbero state scambiate con le risorse ma nel ddl non c'è n’è traccia”. “La riforma dell'università non è stata concertata con i diretti interessati – dichiara l'Italia dei Valori - i quali saranno costretti a subire le scelte di un governo irresponsabile che sbarra l'accesso agli atenei e che ragiona con la sola logica dei costi”. Forse si ritroveranno tutti in piazza il 17 novembre, giorno fissato dagli studenti per la manifestazione nazionale.

FONTE:
Il Fatto Quotidiano

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