lunedì 7 dicembre 2009

La bella deputata di Papi Silvio indagata per riciclaggio


La resistibile ascesa dell’onorevole Elvira Savino, dall’altare dell’esordio in parlamento tra gli applausi di tutti i maschi dell’emiciclo, alle accuse di connivenza con amici di capoclan baresi.

Povera Elvira Savino, da sex symbol dell’intero Parlamento a ennesimo deputato indagato. Da una carriera che sembrava davvero scintillante, visto che era ormai nelle grazie del Capoa un'accusa di riciclaggio. Dall’altare alla polvere, verrebbe da dire, se non fosse un giudizio troppo ingeneroso: l’indagine è appena agli inizi, e non si può certo parlare come se la sentenza sia stata emessa.


GLI ESORDI – Eppure una svolta del genere non si poteva immaginare, per un inizio così scintillante. “Elvira Savino (nella foto), 30 anni, neodeputata pdl ha abbagliato Montecitorio, al suo primo giorno, con un paio di sandali-ghetta optical, tacco 12-14 cm di Gucci. «Li ho scelti d’istinto, mi piacevano, pensavo che anche le altre… Nessun problema con i sampietrini, per caso abito vicino alla Camera. Ma giuro che porto quasi sempre le scarpe basse. I colleghi? Beh, sì, le hanno notate. La Russa mi ha detto che ero elegante. Ora però giudicatemi per il mio impegno, non per i tacchi»”, diceva di lei un Corriere assai mondano. Aveva spezzato il cuore a tutti, tanto che un gentleman intenditore come Massimo Zamarion la definiva così: “è laureata in economia con 110 e lode, e chi lo mette in dubbio? Ha fatto il Master ecc.ecc., e chi lo mette in dubbio? Ha fatto cinque anni ecc.ecc., e chi lo mette in dubbio? Poi sfila in Parlamento col suo bel corpo strizzato in abitini attillatissimi, troneggiante dall’alto di vertiginosi tacchi a spillo sgargianti da pornostar; e provoca una mezza tempesta ormonale tra i maschi dell’emiciclo; che si riverbera nelle pagine di gossip dei giornali. Ma lei ha qualcosa da ridire. Simpatica. Adorabile, pure questa. Femmena“.


DEPUTATA TACCO 12 – La deputata con il tacco 12, la chiamavano, e in tanti altri nomignoli che contribuivano a farne un personaggio. A un certo punto di pettegolezzi non ne può più, e allora scrive a Dagospia: «Non sono Alice nel Paese delle Meraviglie e se mi chiamano “topolona”, “pin-up di Montecitorio” o “onorevole tacco 12″ sorrido. Ho 30 anni, una laurea in economia, un master e 5 anni di esperienza fra l’ ufficio stampa di un partito e un mensile: conosco il sistema mediatico, perciò basta volgarità». Poco dopo si sposa, e come testimone sceglie proprio lui: Silvio Berlusconi. “E’ andato quando ha capito che il testimone doveva farlo in chiesa, non in tribunale“, dicono cattivissimi all’epoca alcuni deputati del PD. Il matrimonio finisce nelle cronache mondane, e tutto va per il meglio. anche se non è che muoia di attività: ha presentato tre interrogazioni e appena due proposte di legge, finora.Ma non vuol dire nulla: l’attività parlamentare è anche altro. Quando il destino ci mette lo zampino.

CONOSCENZE INTRECCIATE – Scoppia lo scandalo Tarantini, e il suo nome ci finisce dentro. Succede quando l’inchiesta si allarga a un nuovo indagato – Alessandro Mannavini – e agli inevitabili giri di cocaina: nei brogliacci delle telefonate spunta anche il suo nome. Un ruolo, di raccordo, lo ha anche nella conoscenza tra il Cavaliere e l’imprenditore-spacciatore barese: gli viene presentato da Sabrina Began: «Mi sembrava un tipo simpatico. Così, in occasione di una cena con Abramovich sono riuscita a far invitare dalla segreteria del presidente anche Tarantini e sua moglie. Voleva farsi bello con il presidente e con il suo entourage e ha cominciato a farsi accompagnare, invece che dalla moglie, peraltro incinta, da altre amiche. Tra il presidente e me c’ è stima e rispetto, non gli ho mai dato del tu. È un rapporto assolutamente platonico». Gianpaolo Tarantini, invece, l’ ha conosciuto «perché era amico proprio di Elvira Savino (deputata del Pdl, ndr). Mi ha supplicata spesso, voleva conoscere Berlusconi, diceva che era il suo mito». La Savino insomma ha fatto – involontariamente -  da raccordo per la scalata sociale dell’imprenditore, che è arrivata su fino a Palazzo Grazioli a colpi di belle ragazze e cocaina. Ma alla fin fine questo non è reato.

IL REATO – Il blitz scatta all’alba del primo dicembre. I finanzieri del Gruppo Investigativo sulla criminalità organizzata (Gico) mettono i sigilli alla holding imprenditoriale di un clan barese con ramificazioni all’ estero: 83 gli arresti (53 in carcere e 30 ai domiciliari) richiesti dalla Procura antimafia di Bari che ha contestato l’ associazione a delinquere di stampo mafioso, un tentato omicidio, usura, riciclaggio, turbativa d’ asta e traffico internazionale di sostanze stupefacenti. Nella retata finisce un noto capoclan barese,Savinuccio Parisi, tifoso della squadra locale al punto da farsi arrestare, una decina d’anni fa, allo stadio Meazza. Un’altra vecchia conoscenza dei tribunali pugliesi, Antonio Di Cosola, risulta implicato insieme ad altre 127 persone. La GdF sequestra società italiane ed estere, aziende, terreni, conti correnti, auto di grossa cilindrata, immobili, cavalli da corsa, scuderie e le quote della società Sport&More, leader a livello internazionale nel commercio di abbigliamento sportivo e ritenuta la «lavanderia» dei guadagni illeciti del clan.


L’ONOREVOLE E IL MORTO – L’uomo chiave dell’inchiesta è l’imprenditore Michele Labellarte, già condannato per bancarotta fraudolenta, è morto due mesi fa. La Finanza gli riempie il letto di casa di microspie, mentre lui, lottando contro la morte, racconta a chi deve sapere come vanno gli affari e si raccomanda per questo e quest’altro. Soprattutto per quell’affare di edilizia universitaria: una struttura nel Barese capace di accogliere oltre 3.500 studenti che il Clan vuole costruire. Appalti pubblici, una manna. Per la quale servono i giusti contatti. E infatti, tra i colletti bianchi vengono indagati l’ ex consigliere laico di centrosinistra del Csm Gianni Di Cagno e l’ ex vicepresidente della Provincia di Bari Onofrio Sisto (Partito Democratico), entrambi avvocati. Sono accusati di concorso nel reimpiego di danaro sporco, e il notaio Francesco Mazza, per un falso compiuto in relazione a un’ asta giudiziaria, oltre al docente universitarioGiacomo Porcelli. Nell’inchiesta finisce anche la Savino: avrebbe agevolato il riciclaggio del denaro proveniente dalla bancarotta di una società per la quale Labellarte era stato condannato per bancarotta fraudolenta. La Savino avrebbe fatto da prestanome per l’ intestazione di un conto corrente, in cambio di «numerosi favori e regalie». E non c’è solo questo: nell’«affare universitario — scrive il gip Giulia Romanazzi — la deputata su sollecitazione di Labellarte si sarebbe attivata a presentare il progetto al ministero dello Sviluppo Economico ed al ministero dell’Istruzione».

E SILVIO? – Da prestanome per Labellarte avrebbe fatto anche Sabrina Beganovic, ovvero la Began che aveva fatto conoscere Berlusconi a Tarantini. Ma il presidente del Consiglio ha fatto anche conoscenza con lo stesso Labellarte, al matrimonio della Savino. E scrive il Corriere che “tra le curiosità che uniscono le due inchieste baresi c’è la figura di Alviero Antro, assistente della Savino che, nell’estate 2008, ha affittato una villa in Sardegna. Facendo concorrenza a Gianpi Tarantini, che nella residenza estiva adiacente organizzava feste alla quali partecipavano veline, vip ed escort“. Che dice laSavino? Nel suo sito internet quasi nulla, tanto che c’è persino chi glielo fa notare nei commenti: un comunicato stampa copincollato è un po’ poco.

SAVINO’S VERSION – Sempre con il Corriere è un po’ più loquace: “Sono pronta a dimettermi da parlamentare per chiarire: io con la mafia non c’ entro. È un equivoco. Vorrei chiarire tutto subito“. Non ha mai fatto da prestanome a Michele Labellarte, condannato per bancarotta e ritenuto il riciclatore? «Ma per carità. Non ho mai avuto soldi da lui». Lo conosceva? «Era un amico. Mai pensato che fosse uno stinco di santo. Ma che avesse a che fare con la mafia non credevo». Ma non sapeva che attività svolgesse? «Boh, lavorava con i computer, aveva dei capannoni». Ha avuto da lui una carta di credito? «Mai vista quella carta». E il conto intestato a lei fittiziamente? «Quel conto era mio personale. Ci versai un assegno di mio fratello da tremila euro». Come si spiega le accuse? «Non so. Sono oscure anche per me. Le somme non sono certo da riciclaggio, ma so che finirò nei titoloni». E’ la Savino’s version. Che per adesso non replica alla questione del progetto presentato ai ministeri per conto del clan Parisi. Il tribunale deciderà chi sta dicendo la verità.

via Giornalettismo

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