domenica 15 novembre 2009

Italia dall'estero: "La coerenza culturale di Berlusconi"


Se c’è una parola che può definire le reazioni suscitate fuori dall’Italia dal comportamento dell’opinione pubblica italiana nei confronti di Silvio Berlusconi, questa è perplessità. Non si capisce come un primo ministro con a carico due processi ancora aperti, coinvolto in scandali sessuali legati alla prostituzione e persino alla droga, e con un paese in piena recessione, possa godere del sostegno di almeno metà della popolazione.
La logica porta a pensare che la colpa di tutto ciò sia il controllo che egli esercita sulla televisione pubblica e privata, così come la sua capacità di ostacolare la separazione dei poteri. Tuttavia, seppur certi, questi fattori non costituirebbero tanto la causa quanto l’effetto di altri fattori antropologici, così come della relazione tra il modello mediatico e la cultura politica italiana.

Sul finire degli anni Sessanta, l’antropologo olandese Geert Hofstede dimostrò, attraverso 100.000 interviste ad alcuni impiegati della IBM in 70 paesi del mondo, che il comportamento degli individui sul posto di lavoro era dovuto, in misura maggiore, a fattori legati alla cultura. In seguito, a partire da quanto ricavato dai risultati dell’indagine, sviluppò cinque dimensioni culturali che costituiscono una spiegazione tecnica del perché alcune culture differiscono da altre.
In base a queste dimensioni culturali possiamo distinguere tra culture individualiste o collettiviste, culture che tollerano meglio o peggio le ambiguità e gli imprevisti, culture più maschili o femminili, culture in cui la distanza di fronte a un potente è più o meno marcata, e infine culture in cui gli individui sono più o meno pazienti quando si tratta di raggiungere i propri obiettivi. Oggigiorno, nonostante siano poco conosciuti in Spagna, i testi di Hofstede vengono studiati da numerosi dirigenti che desiderano approfondire le pratiche affaristiche negli altri paesi.

Nel caso dell’Italia, due di queste dimensioni culturali acquistano certamente rilevanza nel momento in cui si vuole spiegare il comportamento di una parte significativa degli italiani nei confronti di Berlusconi. La prima si riferisce alla mascolinità della società italiana. Mascolinità intesa non tanto come uguaglianza tra sessi, bensì come prevalenza di determinati valori che si ritengono maschili rispetto a quelli femminili.
Valori considerati maschili sarebbero, per citarne alcuni, la sicurezza delle proprie capacità, la fiducia in se stessi, una certe fermezza nei comportamenti, il risultato o la vittoria. Ne sanno qualcosa i tifosi di calcio, abbiamo notato come, per le tifoserie di calcio italiane, la cosa più importante sia vincere, quasi a tutti i costi. Secondo la graduatoria di Hofstede, l’Italia sarebbe il quarto paese più maschilista del mondo, ben lontana dalla Spagna, che occuperebbe la posizione numero 38.

Si può dire che il comportamento di Berlusconi incarni fino ad un certo punto la società italiana, visto che, se la sua carriera è caratterizzata da qualcosa, quel qualcosa è il vincere a tutti i costi, oltre che l’andare in giro per il mondo con la sicurezza che viene ostentata dai vincitori, un aspetto chiave per essere apprezzato in una società che si nutre di apparenze come quella italiana.
La seconda dimensione culturale che spiega l’atteggiamento degli italiani nei confronti di Berlusconi è il suo atteggiamento verso il potere (power distance). Questo concetto, in sintesi, esprime fino a che punto gli italiani potrebbero essere d’accordo sul fatto che le differenze di rango, classe o status debbano concedere privilegi. L’Italia è uno dei paesi europei dove queste differenze sono più apprezzate, però non è la sola, visto che la superano altri paesi come la Francia e la Spagna.

Questo diverso atteggiamento degli italiani nei confronti del potere spiegherebbe l’esistenza della legge che garantiva l’immunità al primo ministro, che è stata bocciata recentemente e che, al pari degli altri numerosi privilegi di cui gode la classe politica italiana, sarebbe inammissibile in un paese anglosassone o del nord Europa.
Per citare due esempi, il paese transalpino possiede il maggior numero di automobili di Stato al mondo, in termini assoluti. Inoltre, in Italia non è raro che politici come Berlusconi continuino la loro carriera con successo, nonostante siano stati coinvolti in scandali di corruzione.

Pertanto, non deve stupirci più di tanto il fatto che la confusione tra pubblico e privato, caratteristica del regime berlusconiano, non sia un problema, come succederebbe in altre società.
In un libro intitolato Sistemi mediatici comparati (2008), pubblicato recentemente in Spagna, Daniel Hallin e Paolo Mancini stabiliscono una relazione tra il modello mediatico di ogni paese e la sua cultura politica. L’Italia apparterrebbe a quello che gli autori definiscono “modello pluralistico e polarizzato mediterraneo”. Questo modello, nel quale rientra anche la Spagna, sarebbe caratterizzato da accentuate differenze tra i diversi partiti politici. Secondo gli autori del libro, nei paesi dell’Europa meridionale i media esprimerebbero una posizione ideologica e agirebbero come enti di mobilitazione politica in misura maggiore rispetto agli altri paesi occidentali. In generale, contrariamente a ciò che succede nei paesi anglosassoni, in quelli dell’Europa meridionale i media non svolgerebbero il ruolo di cani da guardia dell’azione di governo con lo stesso rigore, e questo spiegherebbe la scarsa tradizione del giornalismo d’inchiesta. Questa polarizzazione ideologica provocherebbe l’indifferenza dei politici nei confronti di quello che sostengono i media a loro non affini dal punto di vista ideologico.

La mancata risposta di Berlusconi alle accuse de La Repubblica, de L’Unità o de El Pais non sarebbe altro che un esempio in questo senso. Il Cavaliere è perfettamente consapevole dell’impossibilità di guadagnare consenso tramite i quotidiani di sinistra, e del fatto che la stampa sia meno influente rispetto alla televisione.
Infine, un altro fattore chiave che contribuisce a spiegare il berlusconismo sarebbe l’assenza di una attitudine a responsabilizzare il potere da parte dell’opinione pubblica. È sintomatico il fatto che sia in italiano che in spagnolo non esista un preciso corrispettivo lessicale per la parola inglese accountability. In Italia o in Spagna non sarebbe tanto il cittadino o il contribuente (taxpayer) colui che chiede conto al potere, quanto i partiti politici. Per questo motivo, non risulta strano che Berlusconi, con una sinistra debole, non abbia sentito la necessità di rivolgersi ai cittadini tramite la televisione, come fece Clinton durante lo scandalo Lewinsky, e gli sia bastato attaccare i giornalisti e negare le accuse per difendersi.

Se a tutto questo sommiamo il controllo che Berlusconi esercita sulla televisione statale e su quella privata, la situazione si fa drammatica. Tuttavia, nonostante sia evidente che Berlusconi non è l’Italia, non si dovrebbe pensare che il berlusconismo abbia come unica variabile la personalità del magnate mediatico, bensì tutta una serie di radici culturali che rendono possibile il verificarsi di situazioni analoghe nel futuro.
Per quanto riguarda gli spagnoli, forse la morale è che dovremmo essere un pochino più prudenti quando critichiamo un vicino la cui cultura politica e mediatica ricorda così tanto la nostra.

via El Paìs

***
Diventa fan della Libertà di Stampa
o seguici su Twitter!

0 commenti:

Posta un commento