Il nuovo corso del Pd bersaniano sembra incentrato sul consueto postulato con cui ci hanno ammorbato per un quindicennio: quello secondo cui la Questione Berlusconi «non interessa alla gente», sicché bisogna parlare dei «veri problemi della gente», cioè lavoro, scuola, sanità e così via.
A me sembra che il ragionamento – se di ragionamento si tratta – abbia in sè un bel baco.
Primo, perché è insultante verso la famosa «gente»: considerata un branco di idioti a cui si presume non interessi nulla avere un premier che delinque, purché siano assicurati alcuni servizi essenziali. E insultare in questo modo i cittadini non credo che serva né a migliorare il grado di civiltà dell’Italia né a prendere voti.
Secondo, perché non si capisce in base a quali motivazioni fingere che non ci sia la Questione Berlusconi – con tutto il suo carico di invasività nella cosa pubblica – dovrebbe portare a grandi mobilitazioni di popolo sugli altri temi.
Terzo, perché anche un’ameba a questo punto capirebbe che se lavoro, scuola, sanità, ambiente etc. sono ignorati dall’attuale esecutivo, è anche o soprattutto perché si tratta di una banda di inetti, scelti non sulla base di meriti e competenze ma solo in quanto yes men del padrone, impegnati peraltro notte e giorno a difendere il posto e la fedina penale del medesimo.
La risoluzione della Questione Berlusconi – con il suo mix di miracolismo, charity sociale, terrore dell’innovazione, potere mediatico e affidamento alle virtù taumaturgiche del leader – è palesemente prodromica rispetto al “ben governare”, insomma.
Se il Pd lo capisse – e sì che non è una cosa difficile – avrebbe meno paura a sporcarsi le mani affrontando a viso aperto il problema, anziché gironzolarci intorno fingendo che non ci sia.
via Piovono Rane
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martedì 24 novembre 2009
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