martedì 17 novembre 2009

EcoMafie, Lannes sotto tiro: «Non mollo, dovrete uccidermi»


«Non sono un eroe e non temo la morte. Scrivo per passione, per amore della verità. Appartengo a una specie in via di estinzione. Non mollerò mai». Misteri d’Italia, corruzione, speculazioni, eco-mafie. Gianni Lannes, giornalista freelance per quotidiani e periodici e fondatore di “Italia Terra Nostra”, è un reporter sotto tiro: un’auto incendiata a luglio, promesse di morte arrivate via mail e, nei giorni scorsi, l’esplosione della seconda vettura. «Se pensano di intimidirmi così, perdono tempo. Possono soltanto ammazzarmi», dichiara in una lunga intervista concessa ad Antonella Beccaria per il blog “Xaaraan”.

«Ho appena pubblicato un libro intitolato “Nato: colpito e affondato”, relativo a una quasi sconosciuta Ustica bis», racconta Lannes, precisando di averne anticipato in sintesi i contenuti esplosivi il 4 novembre 2008 sul quotidiano “La Stampa”. Argomento scottante: i trattati segreti fra il nostro Paese e gli Usa, ma soprattutto la Nato. «Il 2 luglio mi sarei dovuto recare a Napoli per intervistare il professor Giulio Russo Krauss, docente all’Accademia navale di Livorno, all’università Federico II, nonché consulente giudiziario. Ma qualcuno ha pensato bene di disintegrare l’autovettura di mia moglie sotto la mia abitazione, sconosciuta ai più».


Un errore di valutazione, un’intimidazione? «Un altro dato è certo: tre giorni prima avevo ricevuto un e-mail con specifiche minacce di morte», racconta Lannes, che per conto della Rai e della trasmissione “La storia siamo noi”, di Giovanni Minoli, sta realizzando un servizio televisivo sul caso del peschereccio “Francesco Padre”, «legato da un solido filo rosso alla vicenda del “Moby Prince”, del Cermis, di Ustica e del duplice omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin». Insomma, ironizza Lannes, «roba di poco conto, nell’Italia di “papi” e delle veline: traffico di armamenti tra Stati, giochi di guerra nei mari italiani, segreti militari, sovranità limitata e perfino smembramento a tavolino della Jugoslavia».

Recentemente, il premier ha sigillato «le nefandezze della Nato che riguardano il Belpaese», annota Antonella Beccaria: il silenzio sui misteri italiani che coinvolgono l’Alleanza Atlantica è calato attraverso la promulgazione del decreto 12 giugno 2009, pubblicato con tanto di omissis in Gazzetta Ufficiale il 6 luglio scorso. «Purtroppo, quasi nessuno si è accorto del bel gesto», commenta Lannes: «Forse le sedicenti grandi firme dello Stivale erano in vacanza».


Il 23 luglio, quando ignoti hanno sabotato i freni della sua auto, Lannes era diretto alla procura della Repubblica di Trani per la disamina di documentazione giudiziaria. Al tribunale di Lucera, il reporter racconta di aver scovato «un fascicolo impolverato e dimenticato», sul caso della nave nipponica “Et Suyo Maru”, «abbandonata con il suo carico letale di rifiuti pericolosi il 16 dicembre 1988 nel mare Adriatico». Sotto l’impulso di numerose associazioni del Gargano, di recente Lannes ha infatti ripreso la sua attività di inchiesta sulle famigerate “navi dei veleni”.

«Avevo iniziato ad occuparmene al termine degli anni ‘80», ricorda Lannes, intervenendo nel ’98 su “La Nuova Ecologia” e l’anno seguente su “Avvenimenti”. Nel 2006, dopo tre anni di lavoro in prima linea per conto del settimanale cattolico “Famiglia Cristiana”, Lannes ha prodotto un’inchiesta «di spessore internazionale», salvo poi apprendere dai colleghi che il suo reportage non sarebbe mai uscito. «Il noto periodico – dichiara Lannes –mi ha pagato una lauta cifra per un’inchiesta scottante affinché rimanesse sigillata in un cassetto».

Così, dopo un ulteriore approfondimento, il 23 febbraio 2007 il giornalista riesce a pubblicare un servizio sulle “navi dei veleni”, sul settimanale “Left”. «A dirla tutta – aggiunge Lannes – prima ancora sono stato costretto ad abbandonare in tutta fretta Roma, dove ho vissuto e lavorato per lunghi anni, dopo aver pubblicato sul quotidiano “Il Manifesto” l’inchiesta “Il secondo omicidio di Ilaria e Miran. Targato Taormina”». Il penalista, a capo della commissione di inchiesta, concluse che non è provato che i due giornalisti siano rimasti vittima di un agguato su commissione. «Taormina – afferma Lannes – ha sostenuto la inverosimile convinzione che Ilaria e Miran fossero andati a trascorrere le vacanze in Somalia». Uno «sgangherato teorema», che Lannes con la sua inchiesta è sicuro di avere «smontato».

«I moventi per ammazzarmi potrebbero essere innumerevoli», ammette: «Ho tanti nemici, soprattutto istituzionali. Nel settembre 2007, dopo aver mutato rapidamente domicilio ed essermi trasferito da un capo all’altro dell’Italia, ho ricevuto una lettera anonima in cui c’era scritto: “Gianni Lannes sei morto”. Ero a Catania per una conferenza sui disastri di Sigonella (già pubblicati dal mensile “Narcomafie” e dal settimanale “Left”) quando ho appreso dalla mia compagna la funerea notizia. Ho prontamente denunciato l’accaduto alla Dda dopo essermi consultato con alcuni magistrati amici e quindi cambiato ancora una volta repentinamente casa».

Collaboratore dal settembre 2008 del quotidiano “La Stampa”, dopo aver pubblicato inchieste di rilievo, Lannes racconta di aver ricevuto «un primo inspiegabile stop, dopo aver toccato alcuni interessi del governo italiano in Egitto e poi la Barilla», azienda «controllata in parte dalla famiglia elvetica Anda, di noti trafficanti bellici». Per questo, dice Lannes, «sono stato congelato». Altra inchiesta «concordata col giornale e mai pubblicata», quella sulla superstrada «inutile e deleteria» che in Sicilia avrebbe danneggiato la foresta della Ficuzza. L’opera era sponsorizzata da Renato Schifani, oggi presidente del Senato. «Schifani ha voluto conoscermi, stringermi la mano e chiedermi conto in particolare di questo mio interessamento», ricorda Lannes.

I moventi riconducibili ai tre attentati subiti da Lannes e alla mail intimidatoria, secondo il reporter potrebbero scaturire da inchieste pregresse, lontane nel tempo. «Mi sono occupato di traffico di armi a livello planetario e sfruttamento di risorse naturali in Africa (Congo: coltan). E ancora: per conto dei settimanali “L’Espresso” e “Panorama” ho pubblicato inchieste sulla Somalia (sequestri di pescherecci oceanici). Ho seguito le guerre in Jugoslavia e il martirio dei profughi. Ho raccontato in diretta la strage della nave albanese “Kater I Rades” affondata da nave “Sibilla” della Marina militare italiana, nonostante il carico umano. Ho descritto per anni le rotte e gli intrecci affaristici dei trafficanti di esseri umani nel Mediterraneo. Soprattutto mi sono occupato di ecomafie».

Più recentemente, dopo aver dato vita al giornale online “Italia Terra Nostra”, Lannes ha accentrato la sua attenzione sul «fenomeno singolare» che ha investito la provincia di Foggia: ben 54 impianti industriali (dai 50 ai 120 milioni di euro a progetto che intercetteranno finanziamenti pubblici) saranno costruiti per produrre energia “rinnovabile”. «In teoria niente di strano, ma a ben guardare si tratta di progetti mascherati, ovvero fasulli. È impossibile proporre in Italia la realizzazione di inceneritori di rifiuti senza suscitare la doverosa protesta dei cittadini», di conseguenza «il cavallo di troia per penetrare nel territorio è la centrale a biomasse di varia potenza termica e natura elettrica».

La Puglia – sostiene Lannes, dati alla mano – vanta un surplus energetico del 48 per cento, dunque non ha bisogno di produrre altra energia, anzi non riesce a distribuire efficacemente neanche quella attualmente prodotta a causa della vetustà delle reti. Ben 54 impianti per lo sfruttamento di fonti rinnovabili, risultano concentrati in un unico territorio che vive prevalentemente di agricoltura e turismo. «Vuol dire una sola cosa: nei piani alti del potere hanno deciso che questo angolo del Mezzogiorno sarà trasformato in breve tempo in un inferno industriale», accusa Lannes.

Tra i progetti che il reporter contesta, c’è «il cosiddetto “termovalorizzatore” che il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia intende costruire – con denaro pubblico – nella più pregiata area agricola dell’intera Puglia, ovvero a Borgo Tressanti (1000 anime di contadini indifesi) senza una rigorosa valutazione di impatto ambientale e valutazione ambientale strategica, come impongono le normative in materia, calpestando la volontà popolare e il semplice buon senso».

Nell’elenco compare anche il “termovalorizzatore” delle società Enterra di Bergamo e Stilo a Borgo Eridania, tra San Severo e Foggia, «a 30 metri dalle case di numerosi bambini e anziani». Oppure la “centrale a biomasse” che la Caviro di Faenza erigerà a Carapelle, «a 500 metri dal paese, contro la volontà popolare già espressa al presidente Vendola» e contro «le leggi di protezione sanitaria». Secondo Lannes, «l’80 per cento dei comuni dell’antica Daunia ospiterà impianti di tal fatta, sponsorizzati da aziende del nord, sovente infiltrate dalla criminalità organizzata».

«Sto tentando semplicemente di mandare a monte questi piani speculativi», dichiara il reporter. «Il Mezzogiorno non è una colonia. L’hanno scorso, grazie alla mobilitazione popolare che ho suscitato, è stato possibile bloccare la realizzazione di una immensa discarica di rifiuti pericolosi provenienti anche dall’estero – autorizzata illegalmente, come ha poi sanzionato il Tar e il Consiglio di Stato, dalla provincia allora a guida del centro-sinistra col beneplacito della regione – che il patron dell’Agecos Spa stava realizzando, addirittura sulle condutture idriche e i pozzi dell’acquedotto pugliese».

Secondo Lannes, «quando si finisce nel mirino delle mafie istituzionali vuol dire che attraverso l’approfondimento giornalistico si stanno intaccando interessi economici notevoli e sedimentati sul territorio, punti di contatto tra la criminalità organizzata, pezzi delle istituzioni e della politica». Lannes accusa «le mafie dai colletti inamidati in odore di massoneria deviata», ricordando che l’europarlamentare Sonia Alfano si è sentita rispondere dalla prefettura di Foggia che a Lannes la scorta “non serve”. «Insomma», conclude il reporter: «Devono ammazzarmi affinché poi qualcuno possa retoricamente strapparsi i capelli».


«Non ci tengo a fare una vita blindata», ammette Lannes. «Amo muovermi liberamente. E poi, chi parlerebbe con un investigativo del mio calibro accompagnato dalla scorta?». Il nodo cruciale, aggiunge, probabilmente è un altro: «Vi sembra normale che interi territori della penisola non siano più controllati dallo Stato? È pacifico che cittadini, magistrati, esponenti delle forze dell’ordine, giornalisti e chiunque faccia quotidianamente il suo dovere debba rischiare la vita? In Italia vi è ancora uno Stato di diritto?».

Lannes denuncia il pericoloso isolamento nel quale è costretto a lavorare. «A parte gli amici, soltanto i colleghi del Tg3 nazionale della Rai hanno realizzato un servizio sulla mia vicenda. Tanti altri pennivendoli hanno preferito il silenzio assordante». Ben diverse le reazioni all’estero: «I colleghi di “Der Spiegel” – il più importante settimanale d’inchiesta attualmente operativo in Europa – e gli amici di “Libération” sono sconcertati dalla disattenzione della categoria».

Quella delle minacce ai giornalisti, specie in provincia, è ormai un’emergenza. Lontano dai riflettori dei media nazionali, osserva Antonella Beccaria, capita spesso che i cronisti siano oggetto di intimidazioni: di recente si è parlato del caso di “Calabria Ora” e del suo direttore, Paolo Pollichieni, oppure di Pino Maniaci e di “Telejato”. «Non ho mai sentito né visto l’ordine professionale prendere posizione», accusa Lannes. «Solo a scrutare la Sicilia potrei citare il caso di Gabriele Orioles e Graziella Proto, oppure Federico Orlando o Dino Paternostro e Lirio Abbate».


A qualcuno hanno bruciato l’auto. Ad altri hanno fatto una telefonata. Alcuni sono stati selvaggiamente picchiati o minacciati a mano armata. In questi ultimi 5 anni i segnali di insofferenza nei confronti di cronisti impavidi o ficcanaso ce ne sono tanti, troppi. Eppure, sottolinea Gianni Lannes, «l’agenda dei mass media in Italia è dettata attualmente in massima parte dai potentati finanziari che influenzano anche la politica e siedono nei consigli d’amministrazione editoriale, non solo direttamente nelle redazioni che contano».

Un’accusa diretta: «La carta stampata, quando non è imbottita miseramente di pubblicità, è fotocopia indecente di pseudo narrazioni. La tv è anche peggio. I giornali italiani arrivano sempre ridicolmente in ritardo, sempre a fatti compiuti, a rimorchio degli eventi. Ci fanno assistere solo all’ultimo atto della tragedia, e l’eccitazione si spegne presto, in attesa della prossima catastrofe ventura. Ogni giorno va in onda e in pagina la disinformazione, con qualche modesta eccezione».


Secondo Lannes, «i giornalisti dovrebbero tornare a calcare il territorio, ad ingoiare polvere come facciamo noi freelance, tanto per cominciare. Non si può lavorare comodamente dietro una scrivania e cucinare pezzi copia e incolla. È ridicolo, oltreché vergognoso». Serve a poco l’informazione accidentale, improvvisata e sussultoria: «E’ necessario che la stampa dia un’informazione costante e incessante, assumendo un compito formativo, orientativo, educativo, oserei dire pedagogico dell’opinione pubblica e di stimolo fortemente critico verso politicanti e amministratori pubblici».

«Se non fossi stato in grado di difendermi anche dalle aggressioni fisiche e perfino a mano armata – aggiunge Lannes – ora non sarei ovviamente qui a discuterne, ma in un ridente camposanto o sotto forma di cenere in mare». Per il coraggioso reporter pugliese «pesa più di tutto la solitudine, il vuoto attorno, anzi il deserto». Un dato oggettivo: «I giornalisti italiani non godono di alcun tipo di protezione, nemmeno dal rispettivo ordine professionale e meno che meno dallo Stato, eppure sono sulla carta il quinto potere».


Un suo antenato, Jean Lannes, di umili origini, si guadagnò i galloni sul campo combattendo al fianco di Napoleone. Il generale Lannes è sepolto al Pantheon accanto a Voltaire e Rousseau, tra i grandi di Francia. «Gli amici d’Oltralpe – racconta Gianni Lannes – mi hanno offerto ospitalità e protezione, ma io resto nel Gargano dove sono nato e non mi trasferirò in Corsica o nel boulevard Lannes di Parigi, dove sarebbe agevole vivere e lavorare alla luce del sole. Sono un uomo che non si piega ai compromessi».

L’anno scorso, ricorda, ha fatto arrestare «un ras delle ecomafie» che aveva «tentato di comprare» il suo silenzio con 600.000 euro, attraverso «politicanti corrotti». L’ha denunciato e fatto incastrare dalla Guardia di Finanza. «Sono abituato a combattere in prima linea. Nel 1993, da solo, ho bloccato la realizzazione di una superstrada che avrebbe massacrato il promontorio garganico».

Il peso delle minacce? Esiste, naturalmente. Ma non prevale. Neppure di fronte al pericolo che ne facciano le spese gli stessi familiari. «Gli affetti delle famiglie hanno il loro peso specifico, ma non credo che il timore di ritorsioni riesca a zittire i giornalisti autentici». Lannes dichiara di non temere la morte, ma non per questo si sente un eroe. Piuttosto, un vero reporter di razza, innamorato della verità e costretto a lavorare in circostanze difficilissime: «In Italia non esistono più editori puri e non si investe realmente in questo tipo di attività, soprattutto per i conflitti di interesse dei padroni del vapore». Malgrado ciò, ai suoi attentatori manda un messaggio chiaro: lui, Gianni Lannes, non mollerà mai.

(L’intervista completa a Gianni Lannes è on-line sul blog “Xaaraan” di Antonella Beccaria, ripresa da Megachip. Le inchieste di Gianni Lannes sono sul web attraverso il newsmagazine Italia Terra Nostra).

via Libre

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