Altro che cazzate, come ci raccontava qualche giorno fa Marcello Dell’Utri! Altro che presidente del consiglio che passerà alla storia per aver sconfitto la mafia! E’ cominciata la guerra civile, o meglio, penale. Per lui! Il privato corruttore ed evasore fiscale Silvio Berlusconi. E’ cominciato un momento storico per l’Italia. Ora non so cosa succederà. O meglio, spero di sbagliare profezia. Se mi dicessero che Berlusconi si è già dato alla fuga col suo jet per qualche atollo sconosciuto non mi meraviglierei. Se mi dicessero che ha già allertato i servizi segreti deviati per far fuori determinati giornalisti e determinate voci libere (blogger compresi), piuttosto che oppositori politici o parenti di altri mafiosi, non mi meraviglierei altrettanto. Le minacce di morte al presidente del Senato Renato Schifani e sembra anche a Marcello Dell’Utri, non mi meraviglierei se si rivelassero deviate per creare confusione (un po’ alla Francesco Guzzardi). La crisi ha colpito anche i vertici della mafia. Si sono decisi a parlare in coro. Tengono tonalità e ritmo. Per il privato corruttore il ballo si fa difficile. Insostenibile.
Qui in rete è da tempo che discutiamo con allegra libertà ciò che aspettavamo in grande evidenza sui giornali. Ci siamo permessi il capriccio e in parte il lusso, di cantare da solisti e di anticipare ciò che oggi, alcuni di quei giornali scrivono. Benché pilotati quei giornali hanno ancora il loro effetto sulle masse. Come il quotidiano Repubblica, il più incisivo, oggi, nel costringere il governo a dimettersi o il presidente della Repubblica a prevedere di sciogliere presto le camere, e le forze dell’ordine di vigilare su Berlusconi affinché non scappi. Attendiamoci da un momento all’altro che il privato corruttore col riporto venga convocato in aula per rispondere di tutte quelle accuse coincidenti, di bel po’ di pentiti, che anziché darsi degli infami sono tutti concordi e tutti in reciproco rispetto. In doppia stereofonia dalle aule dei tribunali di Milano, Firenze, Palermo e Caltanissetta per le stragi di Firenze, Milano e di Roma del 1993. Quindi anche delle stragi dei giudici FALCONE e BORSELLINO.
Repubblica oggi in prima pagina titola “Cosa nostra e la resa dei conti del Cavaliere“. Inizia un lungo articolo che va a riempire le pagine 2 e 3, col resoconto degli interrogatori dei pentiti che inchiodano il presidente del consiglio piduista, assieme a Marcello Dell’Utri.
Sono proprio curioso di vedere cosa accade. Vorrei essere una mosca per vedere le facce di quei milioni di italiani che oggi, nonostante i filtri minchiolini, dovranno pur sapere qualcosa dai telegiornali. Mi piacerebbe vedere le facce di Emilio Fede, Littorio Feltri e Maurizio Belpietro. Oltre che di Claudio Brachino.
Riporto, di nuovo, in estrema sintesi, i punti focali che segnano la fine dell’incredibile personaggio camuffato da capo del governo di cui, forse, l’Italia potrà liberarsi molto presto. Ripeto: forse prima di quel famigerato 5 dicembre del nobday.
Ecco alcuni stralci di articolo pubblicati oggi (dai contenuti non nuovi per chi legge questo blog) assolutamente cruciali.
Gaspare Spatuzza indica nel presidente del consiglio e nel suo braccio destro (Marcello Dell’Utri) i suggeritori della campagna stragista di sedici anni fa.
…la famiglia di Brancaccio (fratelli Giuseppe e Filippo Graviano ndr) ha deciso di aggredire in pubblico e servendosi di un processo chi “non ha mantenuto gli impegni”. Ci sono anche i messaggi di morte. Al presidente del Senato, Renato Schifani, siciliano di Palermo (…) le “voci di dentro” di Cosa Nostra, avvertimenti che sarebbero piovuti su Marcello Dell’Utri…
Sono sintomi che devono essere considerati oggi un corollario della resa dei conti tra Cosa Nostra e il capo del governo… tra Cosa Nostra e gli uomini (Berlusconi, Dell´Utri) che, a diritto o a torto, è tutto da dimostrare, i mafiosi hanno considerato, dal 1992/1993 e per quindici anni, gli interlocutori di un progetto che, dopo le stragi, avrebbe rimesso le cose a posto: i piccioli, il denaro, al sicuro; i «carcerati» o fuori o dentro, ma in condizioni di tenere il filo del loro business; mediocri e distratte politiche della sicurezza; lavoro giudiziario indebolito per legge…(come dal Piano di rinascita piduista ndr).
La campana suona per Silvio Berlusconi perché, nelle tortuosità che sempre accompagnano le cose di mafia, è evidente che il 4 dicembre, quando Gaspare Spatuzza, mafioso di Brancaccio, testimonierà nel processo di appello contro Marcello Dell’Utri, avrà inizio la resa dei conti della famiglia dei fratelli Graviano contro il capo del governo…
È un fatto sorprendente che i mafiosi abbiano deciso di parlare con i pubblici ministeri di quattro procure. Vogliono contribuire “alla verità”. Lo dice anche Giuseppe Graviano, “muto” da quindici anni. Quattro uomini della famiglia offrono una collaborazione piena. Sono Gaspare Spatuzza, Pietro Romeo, Giuseppe Ciaramitaro, Salvatore Grigoli.
Racconta Gaspare Spatuzza: “Giuseppe Graviano mi ha detto che tutto si è chiuso bene, abbiamo ottenuto quello che cercavamo; le persone che hanno portato avanti la cosa non sono come quei quattro crasti dei socialisti che prima ci hanno chiesto i voti e poi ci hanno venduti. Si tratta di persone affidabili. A quel punto mi fa il nome di Berlusconi e mi conferma, a mia domanda, che si tratta di quello di Canale 5; poi mi dice che c´è anche un paesano nostro e mi fa il nome di Dell’Utri (…) Giuseppe Graviano mi dice [ancora] che comunque bisogna fare l’attentato all’Olimpico perché serve a dare il “colpo di grazia” e afferma: ormai “abbiamo il Paese nelle mani”».
Pietro Romeo, interrogatorio del 30 settembre 2009: «… In quel momento stavamo parlando di armi e di altri argomenti seri. [Fu chiesto a Spatuzza] se il politico dietro le stragi fosse Andreotti o Berlusconi. Spatuzza rispose: Berlusconi. La motivazione stragista di Cosa Nostra era quella di far togliere il 41 bis. Non ho mai saputo quali motivazioni ci fossero nella parte politica. Noi eravamo [soltanto degli] esecutori».
Salvatore Grigoli, interrogatorio 5 novembre 2009: «Dalle informazioni datemi (…), le stragi erano fatte per costringere lo Stato a scendere a patti (…) Dell’Utri è il nome da me conosciuto (?), quale contatto politico dei Graviano (…) Quello di Dell’Utri, per me, in quel momento era un nome conosciuto ma neppure particolarmente importante. Quel che è certo è [che me ne parlarono] come [del nostro] contatto politico».
E’ una scena che trova conferme anche in parole già dette, nel tempo. I ricordi di Giuseppe Ciaramitaro li si può scovare in un verbale d´interrogatorio del 23 luglio 1996: “Mi [fu] detto che bisognava portare questo attacco allo Stato e che c’era un politico che indicava gli obiettivi, quando questo politico avrebbe vinto le elezioni, si sarebbe quindi interessato a far abolire il 41 bis (?).
Si rispettano, sorprendentemente. Non era mai capitato. Senza considerarsi infami.
…ma la dirompente novità è nei cauti passi dei due boss di Brancaccio, i fratelli Filippo e Giuseppe Graviano, i più vicini a Salvatore Riina. Hanno guidato con mano ferma la loro “batteria” fino a progettare la strage, per fortuna evitata per un inghippo nell´innesco dell’esplosivo, di un centinaio di carabinieri all’Olimpico il 23 gennaio del 1994. Sono in galera da quindici anni. Hanno studiato (economia, matematica) in carcere. Dal carcere si sono curati dell’educazione dei loro figli affidati ai migliori collegi di Roma e di Palermo e ora sembrano stufi, stanchi di attendere quel che per troppo tempo hanno atteso. Spatuzza racconta che, alla fine del 2004, Filippo Graviano, 48 anni, sbottò: “Bisogna far sapere a mio fratello Giuseppe che se non arriva niente da dove deve arrivare, è bene che anche noi cominciamo a parlare con i magistrati”.
C´è un accordo. Chi lo ha sottoscritto, non ha rispettato l´impegno. Per cavarsi dall´angolo, c´è un solo modo: dissociarsi, collaborare con la giustizia, svelare le responsabilità di chi, estraneo all´organizzazione, si è tirato indietro.
Interrogatorio del 28 luglio 2009: Filippo Graviano durante il confronto con Gaspare Spatuzza gli dice: “Io non ho mai parlato con ostilità nei tuoi riguardi. I discorsi che facevamo erano per migliorare noi stessi. Già noi avevamo allora un atteggiamento diverso, già volevamo agire nella legalità. Noi parlavamo di un nostro futuro in un’altra parte d´Italia».
Filippo Graviano ai pm: «Mi dispiace contraddire Spatuzza, ma devo dire che non mi aspetto niente adesso e nemmeno nel passato, nel 2004. Mi sembra molto remoto che possa avere detto una frase simile perché, come ho detto, non mi aspetto niente da nessuno. Avrei cercato un magistrato in tutti questi anni, se qualcuno non avesse onorato un presunto impegno».
Filippo Graviano usa senza timore parole vietate come “legalità”, “cercare magistrati”. Si spinge anche a pronunciare: «dissociazione». Dice: «Da parte mia è una dissociazione verso le scelte del passato (?). Oggi sono una persona diversa. Faccio un esempio. Nel mio passato, al primo posto, c´era il denaro. Oggi c´è la cultura, la conoscenza. (?) Io non rifarei le scelte che ho fatto».
Ecco perché ha paura Berlusconi. Quegli uomini della mafia non conoscono soltanto “la verità” delle stragi (che sarà molto arduo rappresentare in un racconto processuale ben motivato), ma soprattutto le origini oscure della sua avventura imprenditoriale, già emerse e documentate dal processo di primo grado contro Marcello Dell´Utri (condannato a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa). Di denaro, di piccioli minacciano allora di parlare i Graviano e gli uomini della famiglia di Brancaccio. Dice Spatuzza: “I Graviano sono ricchissimi e il loro patrimonio non è stato intaccato di un centesimo. Hanno investito al Nord e in Sardegna e solo così mi spiego perché durante la latitanza sono stati a Milano e non a Brancaccio. È anomalo, anomalissimo”. Se a Milano ? dice il testimone ? Filippo e Giuseppe si sentivano più protetti che nella loro borgata di Palermo vuol dire che chi li proteggeva a Milano era più potente e affidabile della famiglia.
Il privato corruttore ha detto che chi non sta col Popolo delle laidità è fuori dal governo. Attendiamo con ansia il presidente della Camera Gianfranco Fini al varco. Oggi, o al massimo domani. Salvo cazzate.
via Daniele Martinelli
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venerdì 27 novembre 2009
Una domanda a Silvio: sei il MANDANTE DELLE STRAGI?
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1 commenti:
gli italiani, questo popolo servo e cialtrone, ha abboccato all'amo, e, per piaggeria nei confronti dell'uomo-che-si-èfatto-da-sè, che ha i soldi, il potere, e perchè no, le donne,lo ha votato a maggioranza, e lui, nella sua sconfinata megalomania, ormai si sente invincibile. Ora, secondo me, c'è da aver paura.Uno come lui non si rassegna, e siccome non può far fuori tutti i pentiti che hanno cominciato a parlare, nè può permettersi di finire nelle mani della giustizia (è troppo sporco), può fare di tutto.Secondo me, ora la democrazia è veramente in pericolo, e stiamo tutti per scoprire chi è veramente, e di cosa è capace, mister B.
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