martedì 10 novembre 2009

Augusto Minzulpop


È arrivato il terzo editoriale di Augusto Minzolini: dopo quello del 22 giugno (per difendersi dalle accuse di censura sulle notizie riguardanti i bastimenti di gnocca aviotrasportati chez Berlusconi) e quello del 3 ottobre (sulla manifestazione per la libertà di stampa bollata come «incomprensibile»), il direttore del tg1 ha deciso di esternare il suo parere sul punto più delicato dal 1994 a oggi, il cortocircuito tra politica e giustizia. Riportiamo l’intero editoriale del direttore del tg1:


«Qualche giorno fa il procuratore di Palermo Ingroia ha giudicato pericolosa la politica del governo sulla giustizia. Un’analisi sorprendente per un magistrato che si è dato un obiettivo ancora più improprio: quello, sono parole sue, di ribaltare il corso degli eventi. Un programma politico che Ingroia ha giustificato con la difesa della Costituzione. Solo che la Costituzione che voleva salvaguardare Ingroia, almeno su un punto sostanziale, non è quella originale. Nella Carta infatti, insieme all’autonomia della magistratura i padri costituenti, cioè i vari De Gasperi e Togliatti, inserirono l’istituto dell’immunità parlamentare: non lo fecero perché erano dei malandrini ma perché consideravano quella norma necessaria per evitare che il potere giudiziario arrivasse a condizionare il potere politico. Insomma, l’immunità parlamentare era uno dei fattori di garanzia per assicurare nella nostra Costituzione un equilibrio tra i poteri. Non fu di certo un’idea stravagante: strumenti diversi ma con lo stesse finalità sono previsti in Germania, Inghilterra, Spagna, e di un’immunità beneficiano anche i parlamentari di Strasburgo: D’Alema e Di Pietro ne hanno usufruito recentemente. Dal ‘93 invece l’immunità è stata cancellata dalla nostra Carta costituzionale. Motivo? In quegli anni la classe politica e i partiti per via di Tangentopoli avevano perso la fiducia della gente e l’abolizione dell’immunità fu un modo per dimostrare che i costumi sarebbero cambiati. Quest’operazione mediatica si trasformò però nei fatti in una sorta di atto di sottomissione alla magistratura. Da allora i gruppi parlamentari sono affollati di magistrati e ci sono partiti addirittura fondati da magistrati. Governi di destra e di sinistra sono caduti sull’onda delle inchieste della magistratura e il Parlamento non è riuscito a mettere in cantiere una riforma della giustizia. Ma a parte le conseguenze, l’abolizione dell’immunità parlamentare ha provocato un vulnus nella Costituzione: si è rotto un equilibrio tra i poteri e non se ne è creato un altro. Ora c’è da auspicare che quel vulnus – al di là delle dispute nominali su immunità, lodi e riforme del sistema giudiziario – sia sanato».

Minzolini, da ottimo giornalista italiota, si è guardato bene dal dire chi è Antonio Ingroia, su chi sta accusando di concorso esterno in associazione mafiosa (Marcello Dell’Utri) e su che cosa sta indagando (il papello). Così come si è astenuto dal mostrare un qualche video che riprendesse Ingroia nell’efferato attacco al governo e allo status quo democraticamente deciso dal popolo. Niente di tutto ciò è stato dimostrato: ci rimane solo il resoconto del direttore del tg1 che, senza riportare i fatti, passa direttamente alle opinioni.

Secondo il successore di Riotta infatti Ingroia si sarebbe incaponito nella difesa di una Costituzione che non è quella originale. Piccola lezione di giurisprudenza al povero Minzo: la Costituzione alla quale deve guardare Ingroia è quella in vigore al momento, non quella originaria. Se Ingroia si rivolgesse alla forma originaria della Costituzione e non tenesse conto delle modifiche legislative apportate nel frattempo dal potere legislativo (il Parlamento), non rispetterebbe la legge e sovvertirebbe l’indipendenza dei 3 poteri sui quali si fonda uno stato di diritto, ovvero l’esecutivo (Governo), il legislativo (il Parlamento) e il giudiziario (magistratura). Ecco perché Ingroia non può guardare alla Carta dei padri costituenti: se lo facesse, sovvertirebbe la volontà popolare che, tramite il parlamento, l’ha voluta modificare.

Non ci addentriamo adesso sulla questione dell’immunità parlamentare, dobbiamo prima documentarci (basti dire che originariamente l’autorizzazione a procedere era legata all’individuazione di un fumus persecutionis, poi ci fu la solita degenerazione della casta che negò sistematicamente le autorizzazioni). Per amor di patria taciamo anche sulla balla delle immunità negli altri paesi europei (bastino le pagine 73-81 de Il bavaglio di Travaglio, Gomez e Lillo che nei prossimi giorni pubblicheremo).

Un fatto però è certo: l’immunità parlamentare è stata ridimensionata di molto e non tramite un golpe, ma con una riforma costituzionale votata a maggioranza bulgara (alla Camera il 12 ottobre la legge passò con 525 sì, 5 no e un astenuto; al Senato il 27 ottobre si replicò con 224, 7 astenuti e nessun no), secondo la democrazia elettiva italiana che prevede che i cittadini deleghino la loro volontà ai parlamentari. In nome del popolo italiano insomma, non per un’«operazione mediatica» di minzoliniana memoria.

Ma proseguiamo a smentire le opinioni del Minzo coi fatti. Secondo il direttore infatti da allora governi di destra e sinistra sono caduti proprio per colpa della magistratura e della sua invasione di campo. Balle spaziali. Con la discesa in campo di Berlusconi nessun governo è caduto per iniziativa dei magistrati: il primo governo Berlusconi cadde per la mozione di sfiducia targata Lega; i vari governi di centrosinistra succedutisi fino al 2001 sono caduti per liti interne tipiche dei tafazi della sinistra; il secondo e terzo governo Berlusconi ha portato a termine la legislatura nonostante i molteplici processi che pendevano sul capo rigenerato del Cavaliere; l’ultimo governo Prodi è caduto solo perché Mastella decise senza alcuna logica di far affondare l’armata brancaleone dell’Unione dopo l’arresto della moglie (peraltro giustificato, come dimostra la richiesta di rinvio a giudzio dei giorni scorsi).

Minzolini evidentemente ha la memoria corta e certe cose le deve recuperare tramite le veline di Palazzo Chigi. Stasera infatti è andato in onda un editoriale degno del miglior Silvio Berlusconi: Mani Pulite è stata un colpo di Stato; nel ‘94 ci fu il «ribaltone»; i magistrati da soli tengono in scacco il Parlamento che non riesce a fare una riforma della giustizia; bisogna tutelare gli eletti del popolo. Mancavano solo le «toghe rosse», poi le solite dichiarazioni di Gasparri, Cicchitto, Capezzone e Bonaiuti sarebbero state riportate al completo. Peccato che un editoriele del genere sia andato in onda sul tg1 e non sul tg4: in quel caso, non ci sarebbe stato nulla da eccepire.

via Bile


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