"Voglio andare alle elezioni, subito. Poi vediamo cosa faranno gli altri a quel punto". Era un Silvio Berlusconi arrabbiatissimo quello che qualche giorno fa diceva a Gianni Letta le sue intenzioni. Dopo la bocciatura della leggina blocca-processo Mills, che Ghedini voleva infilare nel decreto che recepisce le direttive europee, trovando però l’opposizione del finiano ministro delle Politiche Comunitarie Andrea Ronchi oltre a quella di Napolitano, il Cavaliere era determinato. E stavolta nemmeno la diplomazia del fido consigliere sembrava averne ragione.
UNA LEGGE NON SI NEGA A NESSUNO – Poi qualcosa è cambiato. Questa settimana arriverà in Senato un disegno di legge a firma Lucio Malan, lo stesso che si sta occupando della proroga dello scudo fiscale. La via parlamentare non è scelta casualmente: dopo l’incontro con Casini, Berlusconi è determinato a fare tutto allo scoperto, ben sapendo che i requisiti di necessità e urgenza per un altro tipo di intervento non ci sono, e il Quirinale lo farebbe notare. L’idea iniziale era quella di ridurre i tempi di prescrizione, non calcolando gli atti che interrompono il procedimento, per i reati con pene fino a 10 anni. Solo che in questo modo si rischierebbe di bloccare una marea di processi, in quella che somiglierebbe a un’amnistia tombale: difficile farlo digerire ai finiani. Più praticale sembra invece l’altra ipotesi: quella di porre un limite temporale ai processi, per assicurarne la ragionevole durata. Due anni per il primo grado, due per l’appello e due per la cassazione: oltre i sei anni, il reato si prescrive. Con tanti saluti a tutti. "Ma così non tutti i problemi del premier potrebbero risolversi: ci vorrebbe un «pacchetto». Magari eliminare l’articolo 238 bis di procedura penale che rende utilizzabili in un processo i fatti di un altro e cambiare il 190 che concede al giudice di selezionare le prove richieste dalla difesa", scrive il Giornale.
LA RESA DEI CONTI – Il tutto sarebbe condito, secondo il premier, dal varo della riforma della giustizia. Utilizzando come testo di partenza proprio quella bozza Violante che era stata preparata dal Partito Democratico. In modo da costringere il nuovo segretario Bersani a dire di sì. Ma per ora l’opposizione è l’ultimo dei problemi. Il problema sono gli alleati. Da Bossi, che sembra a tutti i costi determinato a giocarsi l’ok della Lega all’ennesima norma blocca-processi solo in cambio del sì alle due candidature del Carroccio in Piemonte e Veneto (Cota e Zaia già scaldano i motori, Galan morde il freno). E soprattutto da Gianfranco Fini. Che ormai è a tutti gli effetti il leader dell’opposizione interna, a dispetto delle sue ultime dichiarazioni sulla persecuzione giudiziaria a cui è sottoposto Berlusconi. Proprio per fermare le trame del presidente della Camera, che nel frattempo ha incontrato il cardinale Ruini e sembra determinato a costruire un Grande Centro con Casini e Rutelli alternativo al Cavaliere, Silvio è determinato a chiedere una firma d’onore agli alleati su un documento sulla giustizia che affermi la necessità di chiudere i processi al premier. Il che costituirebbe un buon viatico per evitare gli agguati parlamentari e le fronde dell’ultim’ora.
IL DILEMMA DEI FINIANI – Ora sul fronte dei finiani però c’è scompiglio. "Non abbiamo alcuna intenzione di fornire a Berlusconi il casus belli per andare a nuove elezioni", rivela un parlamentare vicino al presidente della Camera. Ma d’altronde questo costituirebbe una resa incondizionata ai voleri del Capo: esattamente quello che Gianfranco aveva dichiarato di non voler più fare. Anche ieri Fini ha fatto capire che il gioco non gli piace: “Nel PdL c’è un clima da caserma”, ha dichiarato a Che tempo che fa; e ha spiegato che non vuole una legge che, per salvare Berlusconi, finisca per danneggiare cittadini che hanno pagato avvocati; e non vuole nemmeno accettare una leggina che salvi la Mondadori dal contenzioso da 400 milioni di euro che ha con il Fisco. "Le firme si chiedono a Sting", ha dichiarato ieri il presidente della Camera, mentre proprio oggi il Corrierone pubblica una lettera di Giulia Bongiorno che spiega: "Una riduzione dei tempi dei processi o una prescrizione, quali conseguenze può avere se prima non si mette la giustizia nelle condizioni di celebrare i processi in tempi brevi? Esiste insomma il fondato timore che, introducendo una soluzione che il sistema non è in grado di sostenere, si porrebbe una pietra tombale sopra una serie di vicende processuali che magari proprio adesso stanno, con enorme ritardo, volgendo al termine. E un ordinamento nel quale non si arriva a condanna fornirebbe un grave incentivo al crimine". Insomma, chiede la Bongiorno, ci vogliono dei paletti per salvaguardare i cittadini che vogliono giustizia. Senza, l’appoggio del presidente della Camera verrà meno. L’alternativa però è chiara, e una dichiarazione di ieri di Maurizio Gasparri negava per affermare qual è il rischio in caso di insubordinazione: “Fini è una persona di qualità e il problema di una sua uscita dal Pdl è pura fiction“, dichiarava il senatore ormai berlusconiano a tutti gli effetti. E le urne arriverebbero troppo presto anche per i progetti di alternativa politica del presidente della Camera. Insomma, tutto lascia supporre che anche stavolta Gianfranco chinerà il capo. Il ritorno può attendere. Anche se il 2013 è davvero troppo lontano. Anche per uno paziente come Fini.
via Giornalettismo
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